• Batàna

    La batàna e il batiél rovignesi, assieme alla gondola veneziana, alla trupa narentana e al sandalo comisano, appartengono alla numerosa famiglia dei natanti a fondo piatto. L’origine di queste barche va cercata nella preistoria, nel design delle zattere e delle imbarcazioni ricavate incavando un tronco d’albero (piroga monossile). Il fondale piatto era adatto alla navigazione nelle acque poco profonde dei laghi, delle foci dei fiumi, delle lagune e vicino alla costa dei mari. È presente non solo nell’Adriatico ma anche in varie parti d’Europa e del mondo I natanti di per sé erano oggetto di un ampio scambio culturale, cosicché con lo scambio molte delle forme costruttive sono diventate universali, pur mantenendo la propria specificità locale. Questa è stata anche la via di sviluppo seguita dalla batana rovignese. Nel medio evo è documentata la presenza di batane nella regione italiana delle Marche. Queste, assieme alle imbarcazioni a fondo piatto dei laghi Trasimeno e Varano, hanno condizionato la forma dei natanti nelle lagune venete. Destinate alla pesca costiera, le batane si diffusero lungo le coste dell’Adriatico settentrionale fino all’Istria, a Rovigno, Veglia, Arbe, Zara… Sebbene si tratti di una barca dalle origini remote, la batana rovignese compare direttamente nelle fonti rovignesi scritte e in immagini molto più tardi, appena nell’Ottocento.

    In base alla tradizione, il nome batàna si ricollega al verbo italiano battere, che associa al suono prodotto dal suo fondale all’impatto con le onde. Nel dialetto rovignese invece le barche in grado di affrontare il mare aperto venivano definite: “Bòne da bàti màr!” (Buone da battere il mare!). Secondo altre opinioni, il nome della barca deriva dall’antico termine marinaro di batto, con il quale era indicata una piccola barca a remi del XIV secolo, precursore dell’odierno battello. In base a questa interpretazione, la parola sarebbe un prestito dell’antico termine anglossassone bat, dal quale si è sviluppata poi la parola inglese boat – barca. Fino agli anni Venti dell’Ottocento il numero di batane a Rovigno era relativamente scarso, poiché questa barca veniva impiegata soltanto per determinati tipi di pesca costiera. Con la diffusione dell’impiego delle lampare a petrolio e delle reti da tratta per la pesca notturna delle sardelle, il loro numero crebbe considervolmente. L’epoca d’oro della batana sono stati gli anni Sessanta del secolo scorso, allorché come propulsore s’incominciò a usare il motore “Tomos”. Questo fuoribordo a due tempi della potenza di quattro cavalli vapore era prodotto nella vicina Capodistria, in Slovenia. Con lui la batana divenne più veloce e maneggevole, trasformandosi da barca da pesca in natante per il diporto e il tempo libero. Erano rare le famiglie a Rovigno che non possedevano una batana e altrettanto rari i rovignesi che non si recavano a fare il bagno d’estate con la barca. D’inverno poi, erano rari quelli che non aandavano a pescare con la batana, per migliorare il budget famigliare. In vista di Pasqua era difficile contare le tante batane in mare sulle quali i loro proprietari pescavano i calamari e le seppie per il tradizionale pranzo del Venerdì santo. Oggi nel registro della Capitaneria di porto di Rovigno sono evidenziate 241 batane.

  • Bitinàda

    La bitinàda è un’originale espressione dei canti popolari rovignesi. Questo è un modo particolare di esecuzione dell’accompagnamento musicale alle voci dei solisti fatto dai bitinadùri. Quando il solista o i solisti in duetto intonano la canzone prescelta, i bitinadùri iniziano con le proprie voci ad imitare il suono dei diversi strumenti musicali, creando l’effetto di un’orchestra. Per ottenere un’esecuzione armonica, almeno tre o quattro bitinadùri imitano i toni bassi della chitarra o del contrabbasso. Quindi, a gruppi o singolarmente, vengono imitati i suoni dei toni alti della chitarra con almeno tre voci che definiscono gli accordi. Gli altri membri del coro, a propria scelta, imitano il suono degli strumenti complementari come il mandolino e la mandola, in dialetto definiti “tintini”. Secondo la tradizione, la bitinàda è nata tra i pescatori rovignesi che per ore stavano a bordo delle barche a pescare e rammendare le reti. Visto che avevano le mani occupate per tenere gli strumenti, venne loro l’idea di creare con le voci l’effetto di un’eccellente orchestra. La conservazione e il mantenimento della tradizione delle bitinàde e dei bitinadùri a Rovigno è curata soprattutto dalla Società artistico-culturale “Marco Garbin” della Comunità degli italiani di Rovigno

    La bitinàda rovignese è stata inserita, come bene culturale immateriale, nell’Elenco dei beni immateriali sotto tutela del Ministero per la cultura della Repubblica di Croazia (il responsabile è la Comunità degli italiani di Rovigno).

  • Che cosa bisogna sapere sulla batana?

    FONDO PIATTO

    Ha il fondo piatto con un’insellatura leggermente convessa, appuntita in modo simmetrico verso prua e verso poppa, con la forma differente delle due ruote.

    DIMENSIONI

    La dimensione delle batane varia tra i 4 e gli 8,5 metri. Ad ogni modo le batane costruite nella seconda metà del Novecento raramente superano i 5 metri di lunghezza.

    MATERIALE

    La batana è completamente di legno. La chiglia è le aste sono di rovere, mentre la coperta è di abete o di altro legno “dolce”. Le parti vengono fissate esclusivamente con chiodi zincati o in ferro battuto lavorato a mano.

    NAVIGAZIONE

    La propulsione avviene mediante remi, vele o motore fuoribordo. Per i viaggi più lunghi si usava la vela al terzo. Durante la pesca la barca viene mossa e manovrata mediante due lunghi remi. Sulla ruota di poppa è fissato uno scalmo per la vùga in gòndula (voga in gondola), tipica voga rovignese da poppa con un solo remo.

  • Construttori di batane

    Non esistono due batane completamente identiche. Su ciascuna di loro si può riconoscere la mano del costruttore. La costruzione delle batane era sempre affidata ai carpentieri e ai calafati locali che le realizzavano negli squeri o nei magazzini al pianoterra delle loro case. Allora le dimensioni del magazzino determinavano anche quelle della futura barca. Le batane vengono di tanto in tanto tirate fuori dal mare per lavori di manutenzione. Spesso i proprietari delle barche conoscevano i rudimenti dei mestieri di carpentiere e di calafato per curare la regolare manutenzione delle barche. La tradizione costruttiva di barche, soprattutto di batane, è rimasta molto viva a Rovigno e si mantiene anche attraverso il modellismo. A quest’attività sono legati con dedizione diversi rovignesi: Alvise Benussi “Canuciàl”, Giandomenico e Michele Quarantotto “Mèto”, Giovanni Trani “Fasùpe”, Franz Kos, Klaudio Sošić, Rino Budicin “Ciudeîn”, Francesco Benussi “Scurleîn”, Mario Banich, Antonio Battistella. Oggi a Rovigno le batane vengono costruite da Mladen Takač, il carpentiere più giovane.

  • Ecomuseo

    Georges-Henri Rivière, leggendario museologo francese, nel 1976 diede l’eccellente descrizione dell’ecomuseo: “L’ecomuseo non è come gli altri musei… l’ecomuseo è vivo, un museo interdisciplinare che mostra l’uomo nello spazio e nel tempo, nel suo ambiente naturale e culturale, invitando la popolazione complessiva di una comunità a partecipare al suo sviluppo…”

    Le caratteristiche dell’ecomuseo sono state sintetizzate dal museologo croato Tomislav Šola: “mostrare l’identità integrale della comunità, ampliare e ramificare i suoi “germogli” sul territorio della comunità, quindi renderlo de-professionalizzato e de-istituzionalizzato, includere attivamente i membri della comunità nel funzionamento del museo, nella creazione e nella realizzazione dei suoi programmi, essere coscienti della determinatezza del tempo reale, agendo nel presente con un impegno sociale attivo nell’ambito della comunità”.

    Peter Davies nel suo esemplare libro Ecomuseums: a Sense of Place conclude: “Una caratteristica è comune a tutti gli eco-musei: il loro orgoglio per il luogo che rappresentano. Gli ecomusei cercano di catturare lo spirito del luogo ed e ciò che a mio parere li rende peculiari”.

    La definizione del workshop “Reti lunghe – gli ecomusei e l’Europa”, tenutosi a Trento nel maggio 2004, è la seguente: L’ecomuseo è un processo dinamico mediante il quale le comunità tutelano, interpretano e valorizzano il loro patrimonio in relazione allo sviluppo sostenibile. Gli ecomusei si basano sul consenso della comunità”.

  • Il dialetto rovignese

    L’antico dialetto istroromanzo o istrioto è una delle caratteristiche di Rovigno. Trae le sue origini dal latino parlato dal popolo. Nel XIII secolo fu menzionato da Dante nella sua celebre opera De Vulgari Eloquentia. Molti rovignesi lo usano nella comunicazione quotidiana. Il dialetto rovignese conta oltre 20.000 vocaboli. È particolarmente ricco di termini legati al mare, alla pesca e alle barche. Alcuni sono di difficile traduzione, come ad esempio quelli indicanti le parti costruttive della batana.

  • Piero Soffici

    Piero Soffici è nato a Rovigno il 28 luglio 1920. Si è trasferito a Pola nel 1937 dove ha avuto inizio la sua carriera di musicista con l’organizzazione di una serie di concerti al teatro “Ciscutti” con la grande orchestra e numerosi cantanti locali, tra i quali anche la rovignese Ines Budicin che ben presto sarebbe diventata sua moglie. Nel 1947 emigra a Genova dove, come lui stesso raccontava “debuttai suonando la fisarmonica in tutti i bar del porto, col piattino in mano sperando nella generosità dei passanti”. In seguito fu ingaggiato come sassofonista in un orchestra con la quali si trasferì in Germania, a Garmisch, per suonare per le truppe americane. Fatto ritorno a Milano s’impiega come arrangiatore nella casa discografica Philips. Ben presto riceve l’offerta della RAI di Roma per lavorare come arrangiatore per l’orchestra “Angelini” al Festival di Sanremo. Si trasferisce a Roma con la famiglia e lavora alla tivù nazionale per cinque anni. Dopo aver arrangiato tantissimi brani per le orchestre, decide di dedicarsi alla composizione. Le sue canzoni più famose sono: “Stessa spiaggia stesso mare”, “Perdono”, “Cento giorni”, “Quando l’amore diventa poesia”. Negli anni maturi trova la più grande ispirazione nella sua città natale dove come egli stesso dice: “nascono le mie canzoni dedicate a Rovigno che sono le più sincere e che maggiormente amo. Piero Soffici è morto il 4 maggio 2004 ed è sepolto a ???

  • Sergio Preden “Gato”

    Sergio Preden “Gato” è nato a Rovigno il 29 agosto 1946. Ha iniziato a cantare come bambino sin dagli anni Cinquanta. In seguito ha intrapreso la carriera di cantante professionista esibendosi in Svizzera, in Italia e a Montecarlo. Negli anni Settanta ha fatto ritorno a Rovigno ed ha partecipato al festival Melodie dell’Istria e del Quarnero e inciso canzoni per Radio Capodistria. Negli anni Ottanta, oltre a essere membro di vari complessi come cantante e batterista, ha avuto l’occasione di partecipare in veste di solista a degli spettacoli con Bobby Solo e Mino Reitano. A Milano ha inciso il suo primo disco di canzoni evergreen italiane per la casa RTB. In questo periodo è iniziata la sua fruttuosa collaborazione con Piero Soffici, col quale ha registrato 5 CD e 4 musicassette. Nel 2004 ha preso parte come ospite alla realizzazione del CD “Ruvigno par mi” di Riccardo Bosazzi. Collaboratore e socio fisso dell’Ecomuseo batana, partecipa ai programmi musicali nello Spaccio Matika.

  • Società artistico-culturale “Marco Garbin” della Comunità degli italiani di Rovigno

    Con la fusione di due gruppi corali attivi dal 1943 al 1945, il 13 dicembre 1947 è stata fondata la Società artistico-culturale “Marco Garbin” che fino ad oggi, a più di sessant’anni di distanza, non solo è la base dell’attività artistica e musicale della Comunità degli italiani di Rovigno, ma anche l’elemento determinante di conservazione del contesto socio-culturale rovignese. Attualmente nel suo ambito operano l’omonimo coro maschile, femminile e misto, nonché la “Sezione del folklore rovignese” e il gruppo “Bitinadùri” che coltiva l’originale patrimonio musicale locale. La SAC “Marco Garbin” ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti, tra i quali va senz’altro rilevata la Targa della Città di Rovigno, assegnata il 16 settembre 2007 per gli splendidi sessant’anni di vita e di fruttuosa attività.

    Il coro ha da sempre avuto un ruolo dominate nella vita culturale della città. Anche oggi, oltre ai brani corali classici, esegue le tipiche canzoni rovignesi come le arie da nuòto, le arie da cuntràda, ma soprattutto le suggestive bitinàde. Il repertorio si basa sulla produzione musicale tradizionale esistente, tra le quali vanno rilevate le ben note canzoni del maestro Carlo Fabretto (Vien Fiamita, Vignì sul mar muriede e altre) e brani celebri di altri compositori e musicisti di rilievo come Domenico Garbin, Jerko Gržinčić, Piero Soffici, Dušan Prašelj, Riccardo Bosazzi, Biba Benussi e soprattutto Vlado Benussi. Numerose canzoni sono state composte su testi e poesie di Eligio Zanini, Giusto Curto, Matteo Benussi ed altri.

    La SAC “Marco Garbin” ha sempre rappresentato degnamente la Comunità degli italiani e la città di Rovigno a tutte le principali manifestazioni culturali e artistiche comunali, come pure alle rassegne dell’Unione Italiana e si è esibita con successo anche all’estero, specie in Italia, suscitando l’entusiasmo per l’originalità del suo repertorio.

    Nel programma musicale allo Spàcio Matika si esibisce il gruppo dei Bitinadùri formato da: Riccardo Sugar (Bugialòn), mentore del gruppo; Riccardo Vidotto (Màmo), Riccardo Malusà (Ceî∫bo), Germano Ettorre (Manceîna), Gianfranco Santin (Gnègno), Sergio Ferrara (Maravìa), Massimo Ferrara (Maravìa), Claudio Malusà (Malòn), Branko Poropat (Kokica), Davorin Poropat, Antonio Curto (Mulchièra), Giuseppe Bruni (Bièpi Tuòla).

  • Sopranomi

    Nella cittadina di Rovigno vivevano numerose famiglie con lo stesso cognome (Benussi, Budicin, Cherin, Curto, Dandolo, Devescovi, Garbin, Giuricin, Malusà, Paliaga, Pellizzer, Preden, Quarantotto, Sbisà, Sponza, Venier, ecc.). Una volta, molto più che adesso, esisteva la tradizione di aggiungere il nome del nonno o della nonna a quello della famiglia. Di solito però, questi erano nomi tradizionali, cosicché allo stesso appellativo spesso rispondevano diverse persone. Per questo i sopranomi divennero un aiuto creativo al riconoscimento ed alla differenziazione. A Rovigno sono stati registrati a tutt’oggi oltre 2000 sopranomi. Ciascuno di loro, in maniera espressiva, spiritosa, talvolta oltraggiosa, allude alle caratteristiche fisiche o morali della persona, ai suoi difetti, abitudini, imprese, luogo di nascita, professione, avvenimenti della sua vita…

  • Spàcio Matika

    Lo spàcio, assieme alla batana e alle bitinàde è ancora una delle peculiarità di Rovigno. Questo era il luogo dove si beveva e vendeva il vino sfuso, ma anche si stava in compagnia, mangiando qualcosa, giocando a carte e cantando. L’etimologia del termine deriva da spacciare (vendere di nascosto merce illegale) e spaccio (vendita pubblica di articoli illegali), forse perché agl’inizi proprio nella cantine dei rovignesi, nonostante i divieti, si vendeva il vino e si assaggiava di nascosto da quelli che dovevano prevenire questo tipo di commercio. Lo spàcio è l’ambiente che si trovava al pianoterra delle case di città delle famiglie di agricoltori che possedevano vigneti e uliveti nel circondario rovignese. Era riconoscibile da una frasca appesa all’entrata. I muri massicci di pietra non intonacata dello spàcio garantivano le stabili condizioni microclimatiche necessarie per la conservazione del vino. La parte centrale di ogni spàcio era occupata da un lungo bancone con le panche per i clienti e i visitatori.

    Lo spàcio era il punto d’incontro dei contadini e dei pescatori rovignesi. I pescatori erano i frequentatori regolari dopo la pesca notturna o diurna. Davanti a un quarto di vino e qualche pesce ai ferri raccontavano le loro avventure e commentavano gli avvenimenti importanti. Talvolta giocavano a briscola, tressette o alla morra e obbligatoriamente intonavano qualche bitinàda. Non di rado allo spàcio venivano intonate arie d’opera eseguite dai pescatori solisti di maggior talento. Una volta praticamente in ogni via rovignese c’era uno spàcio. Oggi sono stati trasformati in ripostigli, officine alla mano o bar, mentre soltanto alcuni hanno mantenuto la loro funzione originaria. Uno tra i pochi che ha mantenuto il proprio aspetto originario è lo Spàcio Matika, di Romano Matika, situato in Via Švalba, che è diventato parte integrante dell’Ecomuseo e nel quale si organizzano vari programmi musicali, gastronomici e d’intrattenimento.

  • Vela al terzo

    La vela al terzo della batana (in rovignese vìla al tièrso) è di forma trapezoidale. Il nome deriva dal modo in cui viene issata e fissata sul pennone. I vecchi ed esperti pescatori rovignesi sostenevano che il punto di sospensione, dove viene legata la drizza è a circa un terzo del pennone superiore, mentre anche l’albero veniva ubicato a circa un terzo della lunghezza della barca, partendo dalla poppa. Inoltre, di 1:3 era pure il rapporto tra l’altezza del gratile anteriore e quella della balumina o caduta poppiera della vela. Le vele erano confezionate con tessuti di cotone e quindi dipinte. La loro superficie e il peso dipendevano dalle dimensioni della batana. La colorazione, che inizialmente aveva avuto la funzione pratica di conferire maggior durata al tessuto, impermeabilizzandolo, diventò con il tempo un elemento di distinzione e di riconoscimento, determinando l’individualità e l’identità del proprietario. Ogni famiglia aveva dipinto sulla vela il proprio simbolo in base al quale i famigliari, ma anche gli altri, potevano riconoscere la barca e il proprietario da lontano. Finora sono state evidenziate le vele di 95 famiglie rovignesi. I motivi dipinti erano in maggioranza figure geometriche, mentre più raramente portavano effigi, scritte, numeri o simboli. I colori più diffusi erano il giallo, il rosso mattone e il verde. Intorno al 1930 si potevano contare nel porto rovignese ben 52 batane con le vele dipinte. Dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso è cessato l’impiego della vela sulla batana. Dalla fondazione dell’Ecomuseo è stata evidenziata l’esistenza di alcune antiche vele, mentre ne sono state realizzate 4 nuove.